Tragopogon è un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Asteraceae, originarie dell’Asia occidentale, per poi naturalizzarsi in Europa, Americhe, Africa ed Australia.
In Italia sono presenti 9 specie, di cui 6 nell’arco alpino.
Il nome deriva dal greco e significa “barba di caprone”, per la somiglianza delle setole del pappo con la barba di un caprone.
Tra le varie specie, molto conosciuta è la Barba di Becco (Tragopogon pratensis), chiamata anche Salsefrica, Erba di vipera, Asparago invernale, Meadow goat’s-beard, Jack-go-to-bed-at-noon, Meadow salsify, Showy goat’s-beard, pianta erbacea biennale, che cresce nei prati e nei pascoli fino a 2000 m.

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E’ comune ai lati dei sentieri e nei campi non eccessivamente fertili.
Nel nome volgare “Barba di becco”, Becco sembra derivi dal longobardo “bikk” = caprone.
Troviamo le prime menzioni di questa pianta in Dioscoride e la denominazione risale, secondo alcuni, all’aspetto caratteristico del frutto che, con l’esile becco e col piumino del pappo, ricorda il ciuffo di una barba caprina.
Secondo altri, il nome è dovuto all’aspetto delle foglie che, quando emergono dal terreno a primavera, se ne stanno ritte e rade come il ciuffo che orna il mento delle capre.
“Pratensis” significa “dei prati”.

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Presenta fusto cavo e glabro, che può raggiungere quasi un metro d’altezza, radice che emette lattice quando viene strappata, foglie lineari e lanceolate, e fiori a capolini gialli.
A testimonianza che la pianta era conosciuta fin dall’antichità, in un affresco a Pompei si ritrova la sua radice.
Nonostante ciò, la Barba di becco è un ortaggio relativamente nuovo, in quanto è apprezzato in Europa solo dalla metà del XVII secolo, coltivato prima in Italia e poi in Francia.
Inizialmente, veniva raccolto nella sua forma selvatica e le sue saporite foglie giovani si aggiungevano alle zuppe.
Si pensa che la pianta selvatica abbia attraversato le Alpi con i Romani.
I coloni europei l’hanno portata poi in Nord America, dove ora è spesso considerata un’erbaccia invasiva, che cresce ovunque si adatti alle sue esigenze.
Nella tradizione alimentare, della Barba di Becco si consumano i getti primaverili, formati dal fusto ancora avvolto dalle foglie appressate, che ricordano i turioni dell’Asparago.
La radice, contenendo inulina, una sostanza simile allo zucchero ma non dannosa per i diabetici, è per questi ultimi un ottimo alimento.
L’acqua di cottura della radice può essere utilizzata come base per minestre e bevande salutari.

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Evitare i frutti e i semi, che risultano tossici.
Quando c’è bel tempo, i fiori si chiudono nelle ore centrali della giornata, per evitare il sole: Barba di becco rimane aperto fino alle 14, mentre la specie Barba di becco orientale (Tragopogon orientalis), chiude i capolini verso le 11.
L’estratto vegetale di Barba di becco ha proprietà diuretiche, purganti, astringenti ed espettoranti ed è indicato per il trattamento di artriti, arteriosclerosi, reumatismi, ipertensione e vari problemi della pelle.
Inoltre, viene somministrato per stimolare la funzione della cistifellea, l’appetito e la digestione.
La radice ha proprietà astringenti, diuretiche ed espettoranti e viene utilizzata sotto forma di tisana, per il trattamento di tosse persistente, bronchite, bruciore di stomaco e vari disturbi epatici.
Abū Bakr Muḥammad ibn Zakariyyā al-Rāzī, noto anche come Rasis, un medico e studioso iraniano (854 d.C. – 925 d.C.) usava le radici della Barba di becco come antidoto contro i veleni e il suo estratto per curare le cicatrici della pelle.
Questa specie era usata anche dagli Indiani negli Stati Uniti e in Canada, come gomma da masticare, bevande o una lozione per gestire i morsi dei coyote con la rabbia sugli esseri umani o bestiame.
Gli occultisti danno un significato speciale al succo lattiginoso della Barba di becco, affermando che esso contiene il potere della materializzazione, dell’incarnazione e della solidificazione.

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