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𝔸𝕄𝕆ℝ𝔼 𝔻𝔸 𝕃𝔼𝔾𝔾𝔼ℕ𝔻𝔸: 𝕊Ī𝕋Ā 𝔼 ℝĀ𝕄𝔸

Scritto da MadameBlatt

Sītā (dal sanscrito “solco”), conosciuta anche come Siya, Janaki, Maithili, Vaidehi e Bhumija, è una Dea indù protagonista del testo Ramayana, consorte di Rāma, l’avatar del Dio Vishnu, e considerata a sua volta avatar della di lui consorte, Lakṣmī .
Ella è nota per la sua dedizione, abnegazione, coraggio e purezza.
Un giorno, mentre stava arando, Sītā, figlia di Bhūmi (Dea della terra) fu trovata dal re indù di Videha, Janaka, il quale l’adottò.
Quando Sītā raggiunse l’età adulta, Janaka organizzò uno Swayamvara (cerimonia per scegliere un marito tra una lista di pretendenti) a Janakpurdham, con la condizione che la fanciulla avrebbe sposato solo colui che sarebbe stato in grado di tendere il Pināka, l’arco celeste del Dio Shiva.
Janaka sapeva che l’arco di Shiva non era sollevabile, tanto meno era possibile tenderlo per i comuni mortali, e per le persone egoiste non era nemmeno avvicinabile.
Soltanto Sītā, mentre giocava con le sue sorelle durante l’infanzia, aveva inconsapevolmente sollevato il tavolo su cui era stato posto l’arco, e ciò era qualcosa che nessuno a Mithila poteva fare.


Questo incidente fu tuttavia osservato da Janaka, il quale decise di farne una condizione per Swayamvara, perché voleva un genero che fosse forte quanto sua figlia.
A quel tempo, Viśvā-mitra, uno dei più saggi dell’antica India, aveva portato Rāma e suo fratello Lakshmana nella foresta, per la protezione del sacrificio.
Sentendo parlare di questo Swayamvara, Viśvā-mitra chiese a Rāma di parteciparvi e lo portò insieme al fratello al palazzo di Janaka a Janakpur.
Janaka fu molto felice di apprendere che Rāma e Lakshmana erano figli di Dasharatha, il re di Kosala.
La mattina dopo, al centro della sala, Rāma sollevò l’arco di Shiva con la mano sinistra, tese la corda e ruppe però l’arco.
Quindi, un altro avatar di Vishnu, Paraśurāma, si arrabbiò molto perché l’arco di Shiva si era spezzato, non sapendo però che anche Rāma era un avatar di Vishnu.
Quindi, dopo essere stato informato di ciò, si scusò per essersi arrabbiato.
Con quella prova dell’arco, Rāma soddisfò la condizione di Janaka di sposare Sītā la quale, più tardi, durante il Vivāhapañcamī, una festa di nozze, venne condotta alla cerimonia di matrimonio sotto la guida di Śatānanda, un astrologo indiano.

Matrimonio di Rāma con Sītā, Bhārata con Māṇḍavī, Lakshmana con Urmila e Śatrughna con Śrutakīrti

Fu un matrimonio collettivo, in cui Rāma sposò Sītā, Bhārata sposò la principessa Māṇḍavī, Lakshmana sposò Urmila e Śatrughna sposò Śrutakīrti (tutti fratelli di Rāma).
Qualche tempo dopo il matrimonio, Kaikeyī, la matrigna di Rama, costrinse Dasharatha a nominare Bharata re, sobillata dalle lusinghe della sua cameriera Manthara, quindi Rāma fu costretto a lasciare Ayodhya e trascorrere un periodo di esilio nelle foreste di Dandaka e poi a Panchavati.
A quel punto, Sītā e Lakshmana rinunciarono volontariamente alle comodità del palazzo e si unirono a Rāma.
Sūrpaṇakhā, una demone e sorella di Ravana, il re di Lanka, offrì il suo amore a Rāma, il quale la rifiutò e, infuriata, cercò di uccidere Sītā.
Nella foresta di Panchavati, Sītā fu rapita da Ravana, re di Lanka.
Lakshmana tagliò il naso di Sūrpaṇakhā e la rimandò indietro.
Ravana decise di rapire Sītā, e fece travestire Maricha, suo zio, da magnifico cervo per attirare la donna.

Sūrpaṇakhā rifiutata da Rāma

Quest’ultima, attratta dallo splendido animale dorato, chiese a suo marito di farne il suo animale domestico e, quando Rāma e Lakshmana si allontanarono dalla capanna, Ravana la rapì, travestendosi da mendicante.
Sītā fuggì, rifugiandosi presso il Dio indù del fuoco, Agni, e al re-avvoltoio Jaṭāyu, che cercava di proteggerla, Ravana tagliò le ali, riportando la donna prigioniera in uno dei suoi palazzi.
Nonostante ciò, Jaṭāyu sopravvisse abbastanza a lungo da informare Rāma di ciò che era successo.
Nel corso della prigionia, per un anno Ravana espresse il suo desiderio per Sītā, la quale rifiutò le sue avances.
Rāma inviò Hanumān, una divinità sua devota compagna, a cercare Sītā e, quando il dio la trovò, la donna gli dette i suoi gioielli da portare al marito, come prova della sua esistenza in vita.

Ravana taglia le ali al re-avvoltoio Jaṭāyu

Sītā fu finalmente salvata da Rāma, che intraprese una guerra per sconfiggere Ravana.
Dopo il salvataggio, Rāma sottopose la moglie ad una prova di dimostrazione della sua castità, durante la quale il Dio del fuoco Agni apparve davanti al marito per attestare la purezza di Sītā.
Una versione tailandese del Ramayana, racconta che la donna iniziò a camminare sul fuoco di sua spontanea volontà, per dimostrare la sua purezza; infatti, non bruciò ed i carboni ardenti si trasformarono in fiori di Loto.
In seguito a Ayodhya, Rāma fu incoronato re con Sītā al suo fianco però, anche se la fiducia e l’affetto verso la moglie non vacillarono mai, divenne presto evidente che alcuni sudditi non accettavano la lunga prigionia della donna sotto Ravana.
La gente comune iniziò a spettegolare su Sītā, mettendo in dubbio la decisione di Rāma di renderla regina.
Il re fu estremamente sconvolto nel sentire la notizia, ma alla fine disse a Lakshmana, che come re doveva rendere felici i suoi sudditi e che la purezza della regina di Ayodhya doveva essere al di sopra di ogni pettegolezzo.

Sītā con i figli Kuśa e Lava

Quindi, con il cuore pesante, gli ordinò di portare Sītā in una foresta fuori Ayodhya e di abbandonarla.
Per la seconda volta nella sua vita, Sītā, incinta, fu costretta all’esilio, trovando rifugio nell’eremo di Vālmīki, e ciò probabilmente fu causato da una maledizione lanciatale durante la sua infanzia.
Da giovane, Sītā aveva catturato una coppia di pappagalli divini, che provenivano proprio dall’eremo di Vālmīki.
Questi uccelli avevano la capacità di parlare, così come la giovane di comprendere gli animali.
La femmina di pappagallo in quel momento era incinta e chiese a Sītā di lasciarli andare, ma la giovane liberò solo il maschio, e la femmina morì a causa della separazione dal suo compagno.
Di conseguenza, l’uccello maschio maledisse Sītā, dicendole che un giorno avrebbe subito lo stesso destino, di essere separata dal marito durante la sua gravidanza.
Il pappagallo maschio rinacque come lavandaio.
A Vālmīki, quindi, Sītā diede alla luce due gemelli di nome Kuśa e Lava, che crebbe da sola, i quali divennero valorosi ed intelligenti e, alla fine, si unirono al padre.

Bhūmi porta via con sè Sītā

Una volta rassicuratasi che Rāma aveva accolto i propri figli, Sītā chiese la liberazione da un mondo ingiusto e da una vita che raramente era stata felice, quindi la Terra si spaccò in due ed apparve sua madre Bhūmi, la quale portò via con sé sua figlia.

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