La Strige, in latino e in greco Strix, nella mitologia era un uccello notturno di cattivo auspicio, prodotto di una metamorfosi, che si nutriva di sangue e carne umana.
Nello stesso tempo, Strix (dal greco “stridere”, a causa del suo verso) è anche un genere di uccelli della famiglia degli Strigidae, che comprende Gufi ed Allocchi.
Pertanto, si accomunava il verso dei Gufi con quello della Strige e viceversa.
Questa creatura, con le altre varianti conosciute, era un demone che si credeva attaccasse i bambini, per prosciugarne il sangue.

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Differiva dalle altre creature vampiro, in quanto era considerata un mutaforma, piuttosto di un morto che ritornava in vita.
Quindi, la Strige era una creatura terrificante, che possedeva una reputazione terrificante, ed era descritta come un uccello.
La Strige aveva il becco dorato, ali di colore rosso e zampe nere, con piedi artigliati, che l’aiutavano a cacciare le sue prede.

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I suoi occhi erano diversi da quelli dei gufi, perché erano gialli e rotondi senza pupille.
Secondo Plinio, la Strige era impiegata nelle maledizioni e il suo nome poteva essere anche usato come un’invettiva.
Con le sue piume si creavano pozioni magiche d’amore, così come scrive Orazio nella sua opera “Epodi”.
In altre leggende, invece, il piumaggio della Strige veniva usato per creare una pozione di ringiovanimento, se combinato con vari altri ingredienti.
La Strige segnalava un attacco con terribili strilli e spesso stava appesa a testa in giù, come i pipistrelli.
Quando attaccava, quasi sempre in gruppo, questo essere causava disgrazie alle vittime, spruzzandole con latte maleodorante o causando danni più gravi, come usare i suoi artigli feroci per sventrare i bambini.

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L’aglio era spesso utilizzato come un mezzo per sbarazzarsi dello spirito malvagio e prevenire tali attacchi.
Le Strigi si potevano trovare anche nel Tartaro o negli Inferi, luoghi in cui mostravano ulteriormente la loro natura oscura.
Il primo racconto ufficiale sulla Strige è tratto dalla perduta opera “Ornitologia”, dell’autore greco del III secolo a.C., Boeus, parzialmente inserita nelle “Metamorfosi” di Antonino Liberale.
Questo racconta la storia di Polifonte la quale, figlia di Ipponoo e Thraissa, respinse Afrodite ed andò sulle montagne, come compagna di Artemide nei suoi divertimenti.
Irritata per l’insulto, l’offesa Afrodite la fece innamorare follemente di un orso.
Quando Artemide scoprì questa situazione, sentendosi tradita, con odio amaro le rivoltò contro le bestie feroci.
Allora Polifonte fuggì spaventata nella casa del padre e, a tempo debito, diede alla luce due figli, Agrio e Oreio, che divennero uomini di grande statura e forza immensa.

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Essi, però, non mostravano onore né a Dio né all’uomo, ed erano sfrenatamente insolenti verso tutti.
I gemelli rapivano tutti gli stranieri che incontravano e banchettavano con la loro carne.
Così incorsero nell’ira di Zeus, che mandò Hermes a punirli.
Il Dio stava per tagliare loro mani e piedi, ma Ares, a cui Polifonte faceva risalire la sua stirpe, li salvò da questo destino.
Così Polifonte ed i suoi figli furono trasformati in uccelli e la donna divenne una Strige “che piange di notte, senza cibo né bevande, con la testa in basso e la punta dei piedi in alto, presagio di guerra e conflitto civile per gli uomini“.
Il primo riferimento latino è nello “Pseudolus” di Plauto, datato 191 a.C., in cui un cuoco, descrivendo la cucina dei suoi inferiori, paragona la sua azione a quella degli Striges, cioè sventrare una sfortunata vittima.

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Seneca il Giovane, nel suo “Hercules Furens”, mostra le Strigi che abitano alla periferia del Tartaro.
Ovidio racconta la storia delle Strigi, che attaccarono il leggendario re Proca nella sua culla, e di come furono respinte con il Corbezzolo e placate con carne di maiale, come spiegazione dell’usanza di mangiare fagioli e pancetta nelle Calende di giugno.
Nell’antichità, si credeva che le Strigi potessero essere delle vecchie malvage, che di notte assumevano sembianze di uccelli orrendi, per dilaniare i lattanti.
Invece Gaio Petronio Arbitro, nella sua opera “Satyricon”, usa il termine Striga intendendo “Strega”, narrando di un giovane, che era stato attaccato dalle streghe, e ne colpì una coprendosi col mantello, per evitare di entrare in contatto diretto con l’essere.
La Striga, però, lo toccò ugualmente e, di conseguenza, il ragazzo diventò paonazzo e morì pochi giorni dopo.
Questo racconto dimostra che, probabilmente, nel linguaggio popolare il termine Strige era passato dall’indicare l’uccello malefico e di malaugurio, a quello di una donna malvagia, che si nutre di sangue, la Strega.
Solo successivamente, la Strega divenne una donna con poteri soprannaturali e frequentazioni demoniache.

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